— 141 — l’onda tutta bianca di schiuma come per un mostruoso furore. Ma quando, per mancanza di prontezza, la nave si lasciava sorprendere, e sotto l’urto brutale si ingavonava fremendo, noi agguantavamo le cime, e gli occhi alzati verso gii sferzi tesi e bagnati, che garrivano disperatamente sopra il capo, pensavamo dentro di noi : « Eh, non c’ è da meravigliarsene, povero scippe ! » Il trentaduesimo giorno dalla partenza da Bombay si annunciò sotto cattivi auspici. Alla mattina, un’ondata fracassò una delle porte della cucina..... Il vento portava via le vele; certe bugne cedevano. Tremanti di freddo e fradici d’acqua, ci lasciavamo sballottare da poppa a prua, mentre tentavamo di riparare le avarie. La nave, furiosamente scossa, danzava come un giocattolo nelle mani di un pazzo. Il sole era appunto al tramonto quando dovettimo precipitarci a ridurre la velatura, davanti alla minaccia di una nube sinistra, carica di grandine. L’uragano si abbattè bruscamente su di noi, come una mazzata. La nave, liberata in tempo da soverchie vele, lo ricevette con coraggio; dapprima cedette lentamente alla violenza dell’assalto, poi, risollevandosi con ondeggiamento maestoso ed irresistibile, riportò i pennoni al vento, nei denti della raffica. L’ombra abissale della nube nera vomitò allora un torrente di grandine, che crepitò sull’attrezzatura, rinv balzò dall’alto dei pennoni, mitragliò il ponte, rotonda e opalescente nel cuore della tromba oscura, come un diluvio di perle. La nube passò. Per un momento un livido sole vibrò orizzontalmente gli ultimi raggi di una sinistra luce, fra le alte e mobili colline d’acqua. Poi cadde su di noi la notte selvaggia, cacciando avanti a sè, cancellando con un urlo di furore quel lugubre resto di un giorno di tempesta. Quella notte, non si dormì a bordo.