— 190 — gatti bigi e neri, che gli davano figura di un laboratorio di streghe. — Tutto ciò per la cucina. — Ma nel canto più buio e profóndo di essa apriva le sue fauci un antro acherontico, una caverna ancor più tetra e spaventosa, dove le tenebre erano rotte dal crepitante rosseggiar dei tizzoni, e da due verdastre finestrelle imprigionate da una doppia inferriata. Là un fumo denso e vorticoso, là un eterno gorgoglìo di fagiuoli in mostruose pignatte, là, sedente in giro sovra panche scricchiolanti e affumicate, un sinedrio di figure gravi, arcigne e sonnolente. Quello era il focolare e la curia domestica dei castellani di Fratta. Ma non appena sonava l’Avemaria della sera ed era cessato il brontolìo &e\VAngelus Domini. la scena cambiava ad un tratto, e cominciavano per quel piccolo mondo tenebroso le ore della luce. La vec chia cuoca accendeva quattro lampade ad un solo lucignolo ; due ne appendeva sotto la cappa del focolare, e due ai due lati di una Madonna di Loreto. Percoteva poi ben bene con un enorme attizzatoio i tizzoni che si erano assopiti nella cenere, e vi buttava sopra una bracciata di rovi e di ginepro. Le lampade si rimandavano 1’ una all’ altra il loro chiarore tranquillo e giallognolo ; il fuoco scoppiettava fumigante e si ergeva a spire vorticose fino alla spranga traversale di due alari giganteschi borchiati di ottone, e gli abitanti serali della cucina scoprivano alla luce le loro diverse figure. Ippolito Nievo (dalle Confessioni di un ottuagenario). Al agricoltòr. Benedèt cui cun amór al lavore la campagne ; sù tal cil il bon Signor cui so voli lu compagne. Se la tiere ’e jé coltade scuìnt tesaurs in tal so grin, e a di chei che 1’ àn amade ju dispense senze fin.