216 — delle officine ; più su, sul poggio carsico, sopra la città, la vecchia rocca di Monfalcone ricorda tempi lontani, morti e sepolti. Ma non è essa sola dominio della morte, perchè, abbandonata la città operosa, noi tosto ci ritroviamo sul terreno che ancora mostra i segni della terribile battaglia che per tanti e tanti mesi, per anni tenacemente si è là combattuta. Quanti morti raccolti su questa terra ! Essi dormono ora in buona parte nel grande cimitero di Redipuglia, non lontano da Monfalcone. È doveroso recarvisi in pellegrinaggio devoto. Quale sterminata mèsse ha mietuto la morte, quanto sangue generoso sparso, quante fervide giovinezze troncate ! Ogni tomba ha il suo segno, ogni tomba la sua parola ; quante voci sembrano parlarci in quel grande silenzio ! Il mès di mai. Il gial V à ciantàt ■pini spès di inaline ; lui, strolic, sintive la ploie vizine ; nasàt il siròc, cracave la rane, là a bàs de fontane. Il nul va sii a lane, e fat a s’ cialìns ; il cil si scurìs ; stan bàs i rondins ; la tiere sclapade ’e spiete V utnór che i puarte vigór. Il cil V è serèn ma un fregul vêlât, e mal il soreli al sponte sul pràt Un aiarìn um.it al móf un tantin la ponte dal pin. Cialait mo che colé cuiete, cuiete, un lamp senze ton, i á fat di stafete; tal ort ’e sbisie tai árbui floriz tai plez, donge i niz.