IL TRAMONTO DI RUFINO che ci doni la pace ; che faccia grazia a quelli che penano e che mi consenta di far profittare altrui del frutto delle mie fatiche (1)». — Dov è andato il Rufino così bilioso e cattivo delle Invectivae e dell’ultima lettera turpemente lanciata in faccia a Gerolamo come una grossa manata di fango? Non un sorriso, ma neppure una parola amara. Nè recriminazioni, nè parole di perdono; ma il sentimento profondo della gravità dell’ora che passa sul mondo ; una pazienza e una rassegnazione quasi soffuse di tenera dolcezza. La rassegnazione dell’uomo di studio che non vive più, se non per le sue opere, e del cristiano che non spera se non nella bontà del suo Signore. La lotta l’avea stancato e il dolore l’avea portato verso quella forma di pessimismo che traspira da ogni riga della lettera sopra citata. Era in queste condizioni d’animo e di spirito quando se lo portò via la morte. Era l’anno 411. (1) Ad Donatum. 270