SOTTO LA FERULA D ORBILIO
lasciava il livido d’un pizzico sui polpacci del compagno più vicino.
   Il	latino, in un orario scolastico del IV secolo, faceva un po’ la parte del leone nella favola di Fedro.
   La lingua del Lazio gli piaceva e l’imparò così presto e così bene che, a sentirlo quando la parlava, avresti giurato ch’era nato sotto il tetto di qualche grande latinista e l’avea bevuta succhiandola dalle poppe di sua madre.
   Quando il maestro dava il segnale della fine, scappava via a capriole. 1 compagni, a seconda delle stagioni, sciamavano per nidi, giocavano alle noci ai crocicchi delle vie, a pari e dispari, tra le raffiche del vento o sotto il sole, a’ dadi su gli scalini delle porte. Lui, no. Via da suo padre, incalzato dall’ombra arcigna dello schiavo, che non vuol perdere
il	suo posto di mezzo pedagogo.
   Ma, giunto a casa, sbatte la cartella contro
il	tavolo e gioca per le celle con gli schiavi a rimpiattino.
   Il	maestro gli insegna a leggere, a scrivere e a far di conti e gli schiavi gli insegnano altre cose che più tardi, forse, vi dirò...
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