IL SASSO DEL DOMENICHINO do il sonno riusciva a domarmi, questo mio corpo povero e smunto, le cui ossa stavano a stento legate, stramazzava, ammaccandosi, per terra». Andato là, per non perdersi l’anima in mezzo alle avvelenanti delizie del mondo, la fantasia lo trasportava in mezzo a quelle danze che un giorno avea ballato insieme alle procaci fanciulle di Roma (1). 11 volto, impallidito dai lunghi digiuni ; il corpo agghiacciato, e l’anima un rogo di lussuria. Spesso, per far tacere la carne e il sangue che gli bolliva dentro, si percuoteva il petto nudo con un sasso appuntito, che il Do-menichino renderà immortale. Paventa perfino la sua grotta, quasi sia complice dei turpi fantasmi che gli invadevano la memoria, scappando fuori da tutte le sgargianti quinte della fantasia. Irritato contro se stesso, andava a cercare le zone più remote del deserto e, se scopriva qualche valle profonda, qualche montagna più dirupata delle altre o qualche caverna oscura, ci si tuffava dentro per pregare. E la sua pre- di Epist. XXII. 108