— 36 — trascorre con me, desiderando, olii« il margine roccioso del carso, e sono sopra il mare, la larga strada del vento e del sole. lo sono nato nella grande pianura dove il vento corre tra l’alte erbe inumidendosi le labbra come nn giovane cerbiatto, e io l’inseguivo a mani tese, ed emergevo col caldo viso nel cielo. Lontana è la patria ; ma il mare luccica di sole, e infinito è il mondo di là del mare. E la. fertilità della terra sgorga pregna di succo nelle grandi foglie carnose e accende di vermiglio i pomi tondi sulle piante intrecciate fra loro, empiendo di gioia ramina degli uomini. Calda è la messe d’oro, e il profumo dei cedri e delle magnolie ha colto l’uomo nella sua fatica, ond’egli s’è ripiegato sulle spighe e dorme ravvolto nel sole. Pennadoro, nuovo venuto, se tu non dormi, tua è la terra del sole. Il monte Kàl è una pietraia. Ma io sto bene su lui. Il mio cappotto aderisce sui sassi come carne su bragia; e se premo, egli non cede: si le mie mani s’incavano contro i suoi spigoli che vogliono congiungersi con le mie ossa, lo sono come te freddo e nudo, fratello. Sono solo e infecondo. Fratello, su di te passa il sole e il polline, ma tu uon fiorisci. E il ghiaccio ti spacca in solchi dritti la pelle, e non sanguini ; e-’non esprimi una pianta per trattenere le nuvole primaverili che sfiorandoti passano oltre e vanno