— 43 — seggio, e il grembiule macchiato ili sangue vecchio si gonfia e sbatte svolazzando. Appena siamo passati ci guarda e urla: — Dèghe al giandanno ! — Scappa. Io vedo Itene pulsare l’arteria nel collo di questo imbecille. E le uiie mani sono molto lunghe, e sono come ossa ai polpastrelli, li non c’ò gente. Alboino... Ma io sono più che Alboino. Io sono più che Bismarck. Io stringo insensibilmente il pollice dentro le altre dita e faccio della mano una più sottile prolungazione del polso. Lentamente scivolo fra le sue dita rallentate per il freddo. Intanto parlo: — Triste vita la loro ! Che ! capisco bene die lei fa il suo dovere. Quante ore di servizio hanno? otto? consecutive? e la.ssù in carso, oon tutti i tempi, di notte. — Nella gola mi cantano alcune paiole fresche clic la mia bella veciota venesiana me l’insegnò: Nè per torlo nè per rasoi), no state far meter in preson. Guardo negli occhi il gendarme, strappo, via. Viva la libertà ! Io sono italiano. Neanche mi rincorse. K io, dopo duecento metri di corsa furiosa, rimasi male a vederlo impalato, lontano. Poi riprese la sua marcia cadenzata, toc, tac, in direzione opposta. Toc, tac, pare che s’avvicini, che sia qui dietro a me, con la sua mano sulla mia spalla. Filai in un portone: nel casotto del portinaio c’è un cranio calvo, assiepato da uim corona di Capelli fini, di bimbo, qurvo su una scarpetta da signora. Ksco; mi pianto la berretta più salda in testa, mi ravvolgo nella mia mantella e cammino picchiando con forza il lastrico, come se tra esso e i miei scarponi sia qualche cosa che bisogna vincere.