— 91 — Ma il capo è buono e mi dice: Uh, Pennadoro ! Ho scoperto una pianta per te. È dura di cent’anni. Come va la scure ? Alla ! alla ! stavolta mette il primo dente. Il primo colpo, qua. Sentirai che carne! La mia scure è bella, col manico lungo di rovere, e un occhio quadrato. Ride freddamente come il ghiaccio. È svogliata e pigra, piena di disprezzo. Ama starsene affondata nell’erba guazzosa e contemplare il cielo. Qualche volta si diverte di giocar con le teste dei cespugli e i getti spumosi del frassino. Allora sorride come una bimba della saliva amarognola che le sgocciola sulle guance. Ma più spesso è triste e tetra. Ah, ma quando si scalda come dà dentro! Dà dentro come una bestia infoiata. Piomba, piccola e chiara, senza respiro, e han ! come un tuono che scoppi, è incassata nella carne dell’albero. Tutta l’aria attorno ne vibra, e i fringuelli rompono la nota. Si disficca a stratte per assaporar bene la ferita, si libra a dritta ala per un istante, immobile, e han ! è dentro all’ossa. La quercia sussulta drittamente, senza piegarsi, e accarezza con le frondi basse i quercioletti giovani, attorno per non impaurirli, come se solo il dolce vento del mare la movesse. La grande quercia è silenziosa come una madre che muore. Ma la scure canta. La scure s’alza, s’abbassa e canta. Ride rutilante, rossa. È come pazza. Io n’ho paura. Non vedo che questo lampo davanti che fischia e scroscia. Han! han! Non sento più le mani. 11 lampo mi sbatte contro l’albero, e mi ribatte via ! Han ! Piccola mano d’acciaio, distruggiamo la forestìat