— 113 — Avrei voglia di fresche perline da infilare con l’ago. Non riposerai. Questo ti prometto. Lavorerai piangendo dal disgusto, ma lavorerai. Sei stanco, e forse non puoi far più nulla. Le tue mani non sono più abbastanza forti per il martello; il tuo cervello è annebbiato. Sei una )>estia ferita a morte che cerca un nascondiglio [ter crepare. Sta bene. Ma lavorerai. Tu non sai niente. Un piccolo atto incomprensibile ha disperso le meschine verità che t’eri racimolato a schiena curva. Sei solo e nudo. Sei inerte. Sei davanti a un mistero che ti sarà impenetrabile per sempre. Sta bene. So. Ma lavorerai. Non sai perchè l’erba cresce e il mondo esista. Non sai se il mondo esiste o no. Non sai cosa tu sei. Può essere che l’universo sia nato da' una maledizione. 11 tuo dannato lavoro sarà, forse, eternamente vano. M/a lavorerai, come se tu fossi l’ultimo dei rimasti. Dopo — non so se vi sarà riposo. Ma ti prometto che qui non avrai riposo. Qui lavorerai. Questo è certo. Io voglio rifarmi forte e duro. L’aria del carso ha già sfregato via dal mio viso il color di camera. I polmoni ti-ran più lungo la fiatata. La schiena sente poco i sassi, lo amo il corpo robusto, capace di patire, di resistere, di lavorare. I deboli mi fanno schifo, come creature dipendenti dalla pioggia e dal bel tempo. Salute è condizione di libertà. Le malattie vadano da chi è abituato a stare in Ietto — diceva mio zio — e non mi vengano a rompere le scatole. 8