— 12 — \ Ma quando viene Testate, per arrivare i pochi frutti rimasti bisogna essere ghiri. Andare dove gli uccelli non hanno paura, perchè non sono abituati a trovarvi anche lassù. Alla biforcazione delle due frasche più alte mi tenevo agganciato con un piede e bilanciandomi con la destra distesa procedevo a modo di bruco con la sinistra sulla fraschetta svettante, trattenendo il respiro: finché arrivavo al punto dove essa si piegava e a poco a poco s’avvicinava fino alla mia bocca. Qualche volta dovevo lasciarla riscattar via perchè la nonna sgridava: — Fioi, ve mazarè su quei alberi! — Allora stavo zitto, rosso, e scivolavo giù fluendo. E c’era anche, accosto al muro della strada, un tasso baccato che scortecciavo facilmente a larghi brani per vederlo più pulito e più rossiccio. Aveva, al terzo piano, due rami come un letto, e li dormivo qualche dopopranzo; oppure contemplavo trollificante la mularia stradaiola che faceva a ruffa di sotto per agguantare le bacche rosse che buttavo giù da signore. (Io non le mangiavo, mi schifavano). Poi imbaldanzita cominciava a Sondar sassi, e io allora, saltato giù come un demonio, correvo al portone, ne strappavo la verghetta di ferro che serviva da chiavistello, e giù a rotta di collo per le strade, fino quasi al centro della città, con una Maglietta e calzoncini a righette bianche e blu, lunghi riccioli biondi, urlando: — daghe ! daghe ! — E alla sera m’addormentavo disteso sul letto, mentre ancora mamma mi levava le calze piene di terriccio e ghiaiola. Cara e buona mamma mia.