168 LUCIANO MAGRINI coinè assai dubbia. Bisognava, a suo avviso, dare alla Srrbia la possibilità di evitare la guerra a prezzo di una scria disfatta diplomatica. Conveniva dunque inviare alla Serbia una nota concepita in termini non minacciosi nella quale fossero enumerate le accuse concrete alle quali avrebbero dovuto corrispondere delle domande precise. Se la Serbia avesse dato una risposta insufficiente o avesse voluto trascinare le cose in lungo, bisognava rispondere con un ultimatum e subito dopo la sua scadenza aprire le ostilità. Per evitare complicazioni con l’Italia, assicurarsi le simpatie dell’Inghilterra e permettere alla Russia di rimanere spettatrice della guerra, bisognava fare al momento opportuno una dichiarazione che non si voleva l’annientamento della Serbia e tanto meno la sua annessione. Dopo una guerra fortunata bisognava, a suo avviso, diminuire la Serbia esigendo da essa la cessione dei territori conquistati alla Bulgaria, alla Grecia ed all’Albania e tutto al più limitarsi a rivendicare certe rettifiche di frontiera che offrissero un interesse strategico. Le opposizioni di Tisza non smuovevano il conte Berchtold, forte del consenso che i due imperatori avevano dato alla guerra contro la Serbia. 11 giorno 8 luglio il conte Berchtold, presenti il barone Burian, il barone Macchio, il conte For-gach ed il conte Hoyos, tutto lo stato maggiore della politica estera della monarchia danubiana, comunicava al generale Conrad le condizioni dell'ultimatum da consegnarsi, con un termine di 24 o 48 ore per la risposta, alla Serbia. « Era da supporre che i serbi declinassero queste pretese — scrive Conrad — cosicché all’ultimatum seguisse la mobilitazione e la guerra ». Fra Berchtold e Conrad si svolgeva il seguente