L’tlCIDl'CJk FM.MIMO (IJIDIMNBO 9 aveva ucciso il cinquemillesimo cervo. I.a sua manìa di comperare e di raccogliere antichità era proverbiale. IN egli ultimi anni della sua vita dedicò le sue cure maggiori alla coltivazione delle piante nel parco di Konopischt. Conosceva ogni albero, ogni cespuglio e le condizioni di vita di ogni pianta cd amava i suoi fiori più di ogni altra cosa. Tutti i gruppi di piante erano stati disposti secondo un suo particolare intendimento d’arte. Esagerato nelle cure che prodigava al parco, come lo era nella raccolta delle antichità, concedeva grosse somme a queste sue passioni. La musica era per lui un rumore sgrade\-ole e per i poeti nutri%’a un disprezzo invincibile. Non poteva soffrire Wagner, e Goethe non gli diceva nulla! Incontrava grandi difficoltà nei tentativi di apprendere lingue straniere. Parlava solo mediocremente la lingua francese e conosceva poche parole italiane e czeche. Per anni aveva tentato, con ferrea volontà, facendosi accompagnare nei suoi viaggi da un prete ungherese, di apprendere la lingua magiara senza rimeirvi. Questa difficoltà lo irritava ed egli rivolgeva contro i magiari il rancore determinato dalla pena di non poter apprendere la loro lingua. E il conte Czemin lo intese dire più volte: « Mi sono antipatici per la loro lingua ! t Il pensiero che potesse accudirgli un attentato gli era spesso presente, ma non voleva che si potesse credere che egli aveva paura. Un anno prima dell'inizio della guerra l'arciduca raccontò al conte Czemin che i massoni avevano decisa la sua morte e nominò anche alcune personalità politiche austriache ed ungheresi che dovevano saperne qualche cosa. Gli raccontò pure che una volta aveva viaggiato in treno con un granduca russo e che poco prima della partenza aveva ricevuta al no-