190 LUCIANO MAGRINI l’umiliazione della Serbia; dunque se a Vienna l’umore era quello dipinto dall’ambasciatore, allora gli pareva che innanzi tutto fosse dovere degli alleati dell’Austria di prevenirla dei pericoli della sua politica data la decisione della Russia di levarsi a difesa della Serbia. « L’ambasciatore promise di telegrafare a Roma e di chiedere al governo italiano di richiamare su di ciò l’attenzione del gabinetto austro-ungarico, ma fece osservare che, a suo avviso, una dichiarazione simile fatta dalla Russia stessa produrrebbe più impressione a Vienna che se essa fosse stata fatta dall’Italia sua alleata. Il barone Shilling disse che al contrario se era la Russia che faceva questa dichiarazione a Vienna, ciò avrebbe potuto essere considerato come un ultimatum, mentre il consiglio dato con insistenza dall'Italia e dalla Germania, cioè dagli alleati, sarebbe stato certo assai più accettabile per l’Austria-Ungheria ». Non risulta che un tal passo sia stato fatto dall’Italia nè a Vienna nè a Berlino. Forse Sa-zonof, che veniva edotto il 18 luglio della conversazione avvenuta tra il barone Shilling e il marchese Carlotti sulla necessità di avvertire l’Austria della decisione presa dalla Russia di non ammettere in alcun caso un attentato all’indipendenza della Serbia, prima di fare un passo a Vienna, voleva consultarsi con Poincaré atteso in quei giorni a Pietroburgo. Quale fosse la mentalità di Poincaré lo abbiamo veduto dai rapporti spediti dall'ambasciatore Iswol-sky a Sazonof nella seconda metà del 1912. Lo stesso Poincaré ha raccontato nella rivista « L’Uni-versité de Paris » dell’ottobre 1920 : « Nei miei anni di scuola, il mio pensiero, rattristato dalla disfatta, traversava senza tregua la frontiera che