Diffusione « tra*formazione del melodramma !>3 e la fisionomia generale. Alle sue origini, esso — come s’è visto — era stato uno spettacolo principesco che riuniva ed assommava in sè i più nobili piaceri dell’intelligenza : l’invenzione poetica, il dramma, lo stile, il fascino delle rime, l'incanto della musica, il concerto delle voci e degli strumenti, la venustà del canto, la grazia del gesto e della danza; in una parola, l’unione intima, armoniosa, avvincente e convincente delle arti, rivolte concordemente all’espressione del sentimento e della passione, alla trasfigurazione in bellezza degli elementi essenziali della natura umana. Ma una tale forma d’arte, nata da una complessa evoluzione spirituale e culturale, e fatta per il gusto esteticamente raffinato dei cenacoli umanistici e degli ambienti aristocratici, non poteva divenir popolare. La malinconia alta e serena, le passioni virili, la pacata euforia degli eroi greci, sempre composti e misurati anche nella piena torrenziale del tumulto interiore, non potevano trovare un’eco nel cuore della moltitudine. Se ai raffinati e agli intellettuali era concesso di estasiarsi al languore degli Orfei e delle Euridici, delle Dafni e delle Arianne, l’anima del popolo, ardente e scettica, sensuale e vogliosa di vita palpitante, immediata, reale, voleva altra cosa. L'amore della realtà, il senso del comico, del buffonesco, del caricaturale, il gusto per lo spettacolo tutto opulenza di forme e di colori, tali erano le esigenze e le tendenze della maggioranza del pubblico italiano; esigenze e tendenze che trovarono il loro completo appagamento nei sontuosi apparati dell’opera storica e nelle vivaci pitture di caratteri e di costumi dell’opera buffa : le due forme di melodramma che verno il 1630 succedono all’opera mitologica, allegorica e pastorale dei riformatori fiorentini. L’opera cessa così di essere unicamente un’azione declamata in musica e accompagnata da strumenti, per divenire uno spettacolo sontuosamente decorato con ogni sorta di sorprese e di magnificenze, atte a suscitare la meraviglia degli spettatori, i quali credevano ebe un tale sfarzo fosse riservato alle sale principesche. La tragedia lirica fiorentina •’era accontentata alla sua origine d’una mensa in scena assai semplice. A modo delle favole pastorali, essa poteva essere rappresentata su un semplice sfondo campestre e boschivo, senza sfoggio di macchine e di apparati. Ma ben pre-