SS Va Camrraln fiorentina e Clnurlio Afonie tf ni i mimim abbi» saputo concepire e realizzare. Ma anche di fronte a Weber e a Wagner, l’Italia può vantare un precursore geniale che, due secoli prima, intuì la vera forma della tragedia musicale c seppe anche pienamente attuarla, ben inteso per quanto lo consentivano le condizioni culturali e i mezzi tecnici dell’epoca. Questo precursore fu Claudio Monteverdi, vero creatore •lei melodramma di cui, i>or primo, addita ed attua le più alte finalità. Spirito a un tempo contemplativo e appassionato, ragionativo e pratico; intelligenza sempre alacre, insonne, operosa, feconda, foggiata da assidui travagli intcriori in una gagliarda sintesi di volontà e di pensiero, Monteverdi ci appare ancora oggi artista grande e significativo. Studiar«' la sua opera significa tuttora rievocare tuia delle più grandi e interessanti personalità della storia musicale. 4 II. L’unico ritratto che di Monteverdi ci (> rimasto, inciso su rame e inserito in nna raccolta di Fiori Poetici pubblicata a scopo commemorativo nel 1044, un anno dopo la sua morte, da G. B. Marinoni, raffigura il musicista quale doveva «ssere verso i sessantanni : una fisionomia rivelante straordinaria profondità di pensiero, scatti d’accumulato vigore; una fronte alta, incorniciata da capelli folti e corti; un volto dai lineamenti marcatissimi, maggiormente accentuati dai baffi ispidi ed imperiosi; un mento prolungato da una barbetta grigiastra; due grandi occhi neri, in cui sembra tremare una indefinita malinconia sognatrire, una vaga nostalgia di remote idealità, che contrasta stranamente con l’aspetto energico e risoluto del viso. L*mi pressione complessiva spirante da questo ritratta è quella d'una volontà |mtente, di un'anima temprata da assidui travagli interiori, da austere meditazioni, dai tumulti della passione e del dolore. Par quasi impossibile che quelle labbra casi severamente atteggiate abbiano mai potuto sorridere; eppure esse avevano sorriso con la grazia più affascinante e la più schietta espansività; e il cantore d’Arianna e di Orfeo, delle messe e dei mottetti, non aveva sdegnato intonare talvolta il madrigale amoroso, la canzone giuliva e lasciva.