La mulini strumentale in Italia 14A musica italiana, rimpiangendo di non averla studiata in gioventù, quando l’avvenire era dinanzi a lui; basta pensare alle lunghe meditazioni di Q. S. Bach sulle pagine di Frescobaldi, Legrenzi, sopra tutti di Vivaldi, ch’egli copiÀ di sua mano, imitò e trascrisse per strumenti diversi da quelli per cui erano state originariamente concepite, assorbendone la linfa generosa e feconda; basta pensare a Heinrich Schiitz che si formò a Venezia, il maggior centro della musica strumentale italiana nella prima metà del XVII secolo, alla scuola di Giovanni Gabrieli, e più volte ritornò in questa città onde studiarvi le novità elaborate giorno per giorno dai maestri più illustri e approfittare della viva luce raggiante dal genio di Monteverdi; basta pensare ad Ilaendel, che completò in Italia la sua educazione musicale, illeggiadrendo ciò che di rude e di scabro è nel granito della sua natura atletica, mercè il contatto con le più fresche e native sorgenti •Iella melodia italiana, di cui portò il soffio vivificatore in Inghilterra, dove già Purcell aveva trapiantato il virgulto ancor giovane del dramma musicale dei fiorentini e di Monteverdi, innestandolo alle tradizioni locali. Ma la prova decisiva per chi voglia convincersi della forza produttiva e innovatrice della musica strumentale italiana durante i secoli XVII e XVIII, è pur sempre quella che si deduce dalla nmsidenuiooe diretta ed attenta delle migliori opere dei nastri grandi compositori. In molte sonate di Corsili, come in molti concerti di Vivaldi, nella produzione violinistica di Francesco Maria V'eraeini, di Nar-dini e di Tartini, come in quella organistica di Frescobaldi e in quella clavicembalistica di Pasquini, di Domenico Scarlatti e di Galluppi, noi vediamo i compositori italiani creare gli ordini delle nuove architetture masi cali, conciliando nel modo più perfetto l’estro dell’invenzione all’armonia dell’eterno spirito euritmico, la profondità alla chiarezza, l’impeto alla misura, e preparando la via alla musicalità meditativa e dialogante della sonata e della sinfonia di Hajrdn e di Mozart. Si ha in ciò una nuova, luminosa, irrefragabile conferma della tea posta, in principio di questo studio, come una delle sue finalità precipue ed essenziali : dimostrare che la musica fu, assai più della poesia e della letteratura, la viva parola del seicento, e che essa compensò ampiamente il vuoto ideale e spirituale della produzione letteraria. Quando 10. — Capii