Le origini del melodramma 37 si avevano che notizie motto vaghe e imprecise, uè sarebbe stato jiossihile raggiungere nozioni più documentate e provate al vaglio della scienza in una materia in cui, ancora oggi c dopo tanto armeggiare di erudite discussioni, navighiamo in un mare d’incertezza. Ma questo non potè impedire che, quando la polifonia cominciò a cadere in discredito e da parte di molti si principiò a vagheggiare una lingua musicale più atta ad esprìmere la varietà degli affetti di cui è piena l’anima e a manifestare stati psicologici individuali, si pensasse naturalmente di ripristinare il canto usato nell'antica tragedia greca, canto che, per una illusione del tutto ovvia c comprensibile, venne spontaneamente identificato con la monodia espressiva accompagnata che, sul cadere del cinquecento, s’era già definita in Italia, ed era entrata nel sentire comune, trovando applicazioni più o meno rate» c precorritrici al discorso poetico, al dialogo, al dramma scenico. In realtà, tutto ciò che si sapeva dell’antica musica, proveniva dai teorici e trattatisti ai quali si rivolgeva unanimemente la curiosità intellettuale dei dotti, e non ern illustrato da alcun esempio. Le regole che si desumevano da-(tli scrittori antichi erano contestabilissime, e sarebbero anche riuscite dannose alla musica che aveva raggiunto un alto grado di perfezione, si da non consentire ritorni venni un passato interamente sconosciuto, se l'elasticità stessa di tali regole non si fosse prestata alle interpretazioni più disparate. cosi che il conservatore Zarlino e il teorico della tendenza innovatrice, Vincenzo Galilei, invocavano gii stessi prìncipi, l'uno per condannare i componitori moderni, l'altro per magnificarli. I cinque libri del De i/mira di Boezio, illustranti i prìncipi degli antichi musicografi greci (Aristosseno, Tolomeo. Nicomaro), furono stampati a Venezia nel 1491-92, e nei 1497-99 se ne fece una nuova edizione. Nel 1496 Giorgio Valla pubblicò pure a Venezia una versione latina della Inlrodujtone Armonica di Euclide, sotto il nome di Cleonida. Durante la prima metà del cinquecento Boezio fece testo, dispensando dallo studio diretto delle fonti. Non *i ebbe che una traduzione latina di Carlo Valgagiio dei Commentari di Plutarco sulla musica (1532). Ma nel 1562 anche i maggiori teorici greci (Tolomeo. Aristwweno e frammenti d’Ari- ** — c.pn