fra gli spasimi della morte, muovo con una pattuglia di pavesi alla loro salvezza. Faceva parte della medesima il cuciniere Campanini, un lomellino pieno di coraggio e forte come un torello. Era da poco arrivato in linea con una buona provvista di caffè, e lui pure volle essere della partita. Ci avvicinammo tosto al luogo da dove partivano quelle voci, ina alla nostra pietà ci colse l’ingratitudine più irosa che forse avrebbe debellato qualunque spirito umanitario. I vari feriti ci accolsero non con il braccio della liberazione ma a colpi di fucile. Sparammo noi pure per indurli a più miti consigli, ciò ebbe l’esito previsto. Uno dei feriti, un sergente non volle però la nostra assistenza, anzi sdegnosamente fece l’atto di scagliarsi sul Campanini che fu il primo ad accostarsi. Ma in noi prevalse il cuore e la pietà ; improvvisammo barelle con dei fusti di albero e qualche tempo dopo, gli irriconoscenti, avevano le cure e le medicazioni dei nostri Ufficiali sanitari. Che paura ! Dopo il nostro battesimo del fuoco, che con tanto ardimento sostenemmo, si era diffusa la voce di un breve riposo a Ternovo, piccolo paese a metà strada tra Caporetto e Plezzo, che con le sue case con i tetti a guglia forma una delle caratteristiche dei paesi di zona montana. Di giorno la quota 1170 era presidiata da soli piccoli posti mentre il rimanente del battaglione stava attendato poco lungi in una gola della quota stessa. 11 12 giugno la mia compagnia era appunto all’attendamento ed il capitano Emanuele ci aveva per