98 Nell’attesa di essere trasferito a Genova mi si era proposto di lavorare in un calzaturificio militare, ma declinai l’invito. Preferivo un lavoro tra la moltitudine di lavoratori che forse mi avrebbero scacciato per sempre i malanni ossesionanti che mi tormentavano. Giunsi a Genova verso la metà di settembre e fui destinato al Proiettificio Ansaldo a Sestri Ponente — previa un breve corso da tornitore a S. Fruttuoso alla Superba —. Affidai tutta la mia volontà alla nuova mansione, si che in poco tempo fui promosso operatore, quindi Capo Gruppo ed infine Capo Squadra. Altro non potevo forse dare, e solo questo era l’ultimo tributo che davo alla Patria ancora in armi. Alla fronte intanto si combatteva con pari ardore dei mesi precedenti ed al Proiettificio Ansaldo si accumunava un’enorme quantità di proiettili per artiglieria. Era dunque per me grande orgoglio il poter esserne almeno utile a chi ancora aveva la vita a repentaglio ed in balia alla sorte. Nell’ ottobre, durante il tracollo di Caporetto, e nella susseguente ritirata al Piave delle nostre truppe ne seguivo le mosse attraverso i bollettini con il cuore trafitto. Ma mentre l’animo del combattente era più intatto che mai, e nuove luci di gloria spandeva nel destino d’Italia, una setta di imboscati, che avevano attinta qualche ricchezza dal sangue che i combattenti avevano sparso attraverso la più pura gloria, propalavano notizie non certo degne del sacrificio dei Caduti. Denigravano il valore dei Capi, ripudiando, nel contempo, tutto ciò che il combattente stesso aveva dato per il più puro degli ideali. Portavo fieramente sul petto il distintivo delle mie