giorni che forse mi avrebbero guarito. Le ore mi parevano interminabili e attendevo l’alba come il mio più bel sogno. Volgevo lo sguardo a ritroso, vedevo il sentiero che dovevo percorrere raggiante, pieno di ebbrezza e gonfio di passione, mentre forse le forze non mi avrebbero più sorretto. Vedevo vicino un sorriso di amore, un bacio che da lungo mi mancava, mi sentivo riprendere in salute. Oh, quanto mi pareva più di amare in quegl’ istanti tra il dovere che mi teneva avvinto in quella spasimante attesa ! Ma il destino, il più atroce che su di me doveva infierire, poneva fine con la sua beffa a tutte le mie previsioni. L’ennesimo attacco nemico dal Monte Cucia non fu smentito ; sparai, raccolsi gli ultimi sprazzi di energia, reagii anche contro il male e mi buttai nella mischia. Quando la calma era tornata mi colse l’alba stremato. Quella febbre, che non volevo fosse, aveva stroncato l’ultima mia speranza e mentre la ragazza del mio cuore mi credeva in viaggio verso un nido d’amore mi coglieva quasi morente l’ospedaletto da campo 032 a Bottenico di Cividale. Il Tenente Castello. Vigilia di Natale. Ravvivo, se pur a stento, qualche cosa di caro. La mia mente, se pur offuscata da febbre altissima, è tutta rivolta alle persone più care e sopratutto alla mamma che, forse assisa al caminetto domestico ove arde il ceppo di Natale, mi accompagna con il cuore nel mio viaggio. Quella sera mi avrebbe atteso, mentr’invece la morte stava per ghermirmi. Forse il pianto mi avrebbe abbattuto, re-