21 mie prese con una pecora. Da Ternova al Polounik fu assai lungo il tragitto. Dalla traballante passerella sull’Isonzo incominciammo il calvario che dovevasi concludere 15 ore dopo tra boschi e dirupi, senza un casolare, in una solitudine sconcertante. La vetta da raggiungere vi faceva capolino ogni tanto per scomparire a qualche nostro giro vizioso, mentre l’erta bieca e capricciosa pareva fosse interminabile. Al mattino, posto fine al nostro « tour de force » e dato il cambio ad altro battaglione, fui destinato con la mia squadra all’ osservatorio di una batteria da montagna, onde riferire al mio comandante ogni eventuale ordine o spostamento, perchè in quel posto il telefono non aveva ancor fatto la sua comparsa. Tra i miei uomini avevo un buon siciliano, certo Materasso, che alla sua bonaria inesperienza sopperiva, con volontà a tutta prova, a qualunque bisogna. La cucina distava da noi non meno di un’ora di cammino e per arrivarvi bisognava mettere a dura prova anche i più buoni garretti. Data la situazione, ed anche per non esporsi a pericoli di varia nutura, il rancio era per noi quasi sempre un’ illusione. Eravamo ancora ai primi mesi della guerra e gli austriaci abbandonando i loro casolari avevano pure abbandonate a se stesse le loro mandrie ed ovini che, presi dalla nostalgia della libertà, scorrazzavano per i declivi dei monti. Un giorno che nessuno era disposto a scendere per il rancio, e ben decisi di non vivere soltanto di gloria, posammo gli occhi su una bella pecora che, priva di guida e sola padrona ove calcava il piede, stava poco discosta dal nostro ricovero.