28 Il roccione di Cerzoca. Dallo spettacolo terrificante reso dagli avversari non ne facciamo più meraviglia, ormai abituati a tutte le barbarie di un nemico che scatena la sua furia contro gli uomini e contro Dio. La notte del 20, dopo aver sostenute altre piccole lotte, abbiamo il cambio del battaglione e scendiamo scarni e cenciosi, ma con il braccio fermo ed intatto il cuore, sotto il roccione di Cerzoca. Ma anche costì non abbiamo il premio delle nostre fatiche. Ora non è più la fucileria che ci molesta ma è un elemento, se non micidiale, implacabile. La pioggia incomincia la sua opera con una continuità snervante, rendendo il clima più che mai inadatto a reparti che devono temprarsi per nuove battaglie. Le prime nevi imbiancano le cime, il freddo punta su di noi lento ma inesorabile. Vediamo l’inverno prossimo e forse non saranno realizzate tanto presto le nostre aspirazioni. Trieste e Trento sognavano la liberazione e a noi pareva ci sfuggissero per sempre. Gli insuccessi nostri parevano intaccassero il cuore d’Italia, ed al nostro roccione protettore fummo ospiti, se non allegri, almeno degni di tanta quiete e solitudine. Nessuno forse in precedenza sostò in quella deserta e diroccata protettrice di combattenti, che era venuto in seguito l’asilo agognato di chi dalla trincea subiva gli effetti più tristi. Costruimmo dei piccoli barracca-menti che pur non mettendoci tanto al riparo degli elementi atmosferici ci permisero di vivere sette giorni, se non tranquilli, almeno sicuri da ogni sorpresa. La adattammo alla meglio, scavammo nella sua insenatura gigantesca tutta la terra possibile si da poter