94 cato ma con una sorpresa non del tutto rosea. Mi vidi in un candido lettino e cercai di rendermi conto in qual modo vi fossi giunto, ma appena cercai di abbozzare parola con altri feriti ne feci una amara constatazione. Avevo perduto la parola e per quanto mi sforzassi per parlare non riuscivo a pronunciare sillaba. Desideravo avere notizie, dove ero, com’era andata nella giornata precedente, ma invece delle parole dovetti dar mano a carta e matita e chiedere spiegazioni in quel modo. Nella giornata scrissi a casa solo qualche cenno della mia ferita ma tacqui l’imperfezione che forse mi avrebbe reso per sempre senza la mia arma di pace. Oltre alla ferita, ed anche per il mio stato fisico alquanto scosso, fu necessaria qualche giorno la mia degenza, da dove fui trasportato a Modena all’Ospedale S. Giacomo senza speranza di sorta. Mi vedevo ormai votato ad una sorte irrimediabile, vedevo un avvenire chiuso e solo attorniato dalla mia gloria che avrei portato nel tempo col fardello del mio dolore. Ma nella quiete del riposo, e con le assidue cure degli ufficiali medici dell’ospedale si verificò, se pur stentatamente, un miglioramento che mi rincuorò alquanto destandomi le assopite speranze. Dopo qualche giorno, al ritorno in efficenza fisica ed in via di guarigione della ferita, cominciai a balbettare qualche parola che, oltre alla mia consolazione, fu di grande soddisfazione anche per il Capitano medico curante, ed una decina di giorni dopo questo tremendo incubo era scomparso. In questo frattempo i miei famigliari svolgevano pratiche presso l’ospedaletto della Snia Viscosa di Pavia per essere trasferito colà, ma benché la Direzione dello stesso