62 prossimi. La mia ferita non mi procurava grande tormento, ma la stanchezza continuata mi aveva reso febbricitante e l’arsura della sete non era mai spenta. Attendevo il mio turno non con 1’ ansia di un addio, ma con il cuore attratto dalla più luminosa giornata che aveva segnato tanto valore e sacrificio. Sdraiato vicino un sasso, e poco discosto da me un ferito austriaco mandava deboli lamenti e si premeva il petto. Non seppi come fosse capitato tra noi, come non conobbi il suo nome. Avvicinatolo mi balbettò parole incomprensibili mostrandomi una ferita da pallottola da fucile al costato sinistro. Gli offersi un po’ d’acqua che la mia borraccia ancora conteneva, che assorbì con avidità. Era pallido, quasi terreo, stremato, vinto dalle privazioni e della ferita e comprendevo che era quasi dissanguato. Con l’aiuto di altri compagni lo medicai alla meglio con un fazzoletto, altro non tenevo. A Ronchi avrebbe poi avuto le cure del caso. Mi accorsi però che questi erano forse gli ultimi istanti, lo vedevo ormai privo di vita. A tratti nel bianco dei suoi occhi appariva un tremolio, nelle sue braccia passavano dei sussulti e, in seguito, fremiti nervosi gli increspavano la fronte. Lo vidi poi reclinare il capo; cercammo di incuorarlo alla meglio, altro non potevamo. Nel mentre avevo rivolto lo sguardo all’auto-ambulanza che stava per arrivare udii un flebile gemito, e quella vita, che forse aveva sognato tante speranze della sua Patria in armi, era spenta per sempre. Montai sull’ auto-ambulanza, e dando ancora uno sguardo a ritroso, lo vidi steso ed inerte nel sonno della morte. Pensai che certamente avrà degna sepoltura mentre la mia mente andava