31 zato su di noi i famosi cecchini — fucili con specchi di ingrandimento — e manovrati da scelti tiratori. Un piccolo movimento di giorno avrebbe avuto un sicuro effetto letale. Era solo attesa la notte per sgranchirsi un po le gambe da quella incomoda posizione in cui eravamo relegati. Inoltre per le continue piogge e l’ingrossamento dello Slatenik che si doveva attraversare per raggiungere la mulattiera della morte, fummo per otto giorni senza cambio e quasi senza viveri. Tuttavia resistemmo con incrollabile volontà sotto il flagello delle intemperie e delle continue molestie nemiche. Questi temendo o presagendo una nostra azione, avevano rafforzato enormemente la loro linea ed una selva di cannoni mandavano poco oltre a noi un uragano di ferro e di fuoco. Eravamo però ben protetti e sicuri da questi, e tutti i loro tiri finivano lunghi andando a mescolare i loro boati spaventosi con le acque ruggenti dello Slatenik che scendeva terribilmente gonfio. La notte del 9 ottobre fu deciso di snidare un covo di scelti tiratori che non ci perdevano di mira a qualche nostro minimo movimento. Ebbi il comando di una pattuglia. Volli con me il Caporale Cima di Piacenza che essendo della mia squadra era ben d’accordo e presto divisammo il piano che riuscì a meraviglia. Sotto l’acqua che non accennava minimamente e rallentare il suo gettito, partimmo verso la mezzanotte per dare la « paga » a quei tiratori che ci tenevano schiavi da vari giorni. Non badammo troppo alle raccomandazioni del Tenente Crosio, troppo conoscevamo il Piccolo Iavorcek e le sue insidie e ci sentivamo sicuri della nostra mansione. Ma benché movemmo pieni di audacia molto tempo impiegammo