20 ci radunava nella bella Chiesa del paese per le Sacre funzioni. Oh, come mi tornano alla mente quelle sere in cui, tra le peripezie della guerra, si cantava in gran coro: Noi vogliam Dio eh’è nostro padre! In una afosa giornata di luglio fui preso da uno strano malessere. Il Cappellano Rubino mi fu prodigo di amorevolezza accompagnandomi all’infermeria da campo ove, dietro le sue insistenze, vi rimasi qualche giorno rimettendomi benissimo. Sul lama Planina, un monte quasi inaccessibile che per la sua ascesa impiegava non meno di 5 ore, faceva da spola con Ternovo onde, attuate le sue funzioni, portava tra noi la sua parola d’amore e di pietà. Dal maggiore Coralli al più umile bersagliere non vi era per lui, nella sua missione, alcunché di diverso. Ma più che l’amore e la pietà sovrastava in lui, come ho detto, il coraggio. Ciò è dimostrato da un caso più unico che raro. In una giornata che il cannone nemico aveva individuato le nostre posizioni, i bersaglieri si affannavano a rinforzare le trincee. Il Cappellano Rubino, venutone a conoscenza, ci fece immediatamente desistere dal lavoro che a lui parve sempre inutile lanciando il motto: ‘I bersaglieri non hanno bisogno di trincee!». Ritto intanto sulla vetta, come a sfidare quei cannoni che a caso ci cercavano, ci additava Plezzo che ci attendeva. Da quel giorno il Cappellano Rubino divenne la più pura espressione del 9° Reggimento Bersaglieri ed a lui, lo stesso, molto dovette se le lotte che seguirono furono condotte con grande sentimento del dovere.