Serenissimo Principe, Ill.ma Signoria, Tra le grandissime amirationi, in le quai io, a’ miei giorni, mi sono ritrovato, in una grande e quasi incredibille mi veggio esser caduto, la quale tanto me s’ ha fata maggiore, quanto io più 1’ ho estimata debile e facile da conoscer. E questo è stato, che io veggio una famosissima città, governata da uno popolo amico di Dio, cristiano, giustissimo, pacifico, sapientissimo e richissimo, e veggiola fabricata in uno sicurissimo, bellissimo e sanissimo loco, cosa non rara, ma unica ne il mondo. E leggendo qualche uno dei suoi fatti, la veggio esser stata et al presente esser di stato grandissima. Nientedimeno, quando io mi affermo nel contemplar il loco, nel quale essa città è situata (opera veramente uscita dalle mani de Idio e non da quelle degli homeni), resto qual il viatore capitato tra la divisione di molte vie, che il più delle volte, inga-nato dalla imaginatione, che lo mosse con raggione a pigliarne più una che 1' altra, si trova nel fine esser capitato là dove non credea Consideravo la prudentia, la sapientia et il famoso giuditio de chi la reggie ; penso al sito là dove ella è posta, il quale si sa corno l’era ; veggiolo come sta ; e considero a quello che egli potria venire. E poi veggio il dominio di quella in questa consideratione affaticarsi et essersi molto affaticato di continuo. Nientedimeno non trovo dove ne esca la cagione, che più che ’1 se ha creduto augumentar e conservar il sito suo, più quello se è peggiorato, e ne il perchè 10 resto confuso, nè so a chi di questo darne la causa. E però, postomi già molti anni in questa consideratione, Serenissimo Principe, Ill.m* Signoria, ho voluto io Cristoforo Sabbattino, cittadino di V. Sub.ta et al presente inzegner e protto de 1’ offitio dell’ acque, fo de il q. m.ro Paulo da Chioggia, già inzegner di esso offitio, affaticarmi in scriver qualche cosa de il sitto della famosissima stanza di V. Celsitudine, il quale è questa sua laguna, e di quello farne quel discorso e darne quello aricordo, che al debole ingie-gno mio è stato concesso per la salute di quello. Nè ho voluto restar per temanza de 11 non saper por nelle scritture mie le parole con quella politezza et ellegantia di dire, sì corno, volendo raggionare de una tale e tanta città, si conveneria ; ma con quella lingua, con quel uso, che io mi ritrovo havere, e cum quella licenza, che tale fiata ad uno fidellissimo suddito vien concessa, quando per il benefitio de il suo signor raggiona, di quel che io so, di quel che io veggio e di quanto io consiglio, ho havuto ardire di