120 Il trattato di Rapallo. restaurando ¡1 duomo meraviglioso della sua Sebenico, poteva scolpire sul fregio del portale, alla vista di tutti, i medaglioni di Vittorio Emanuele, di Mazzini e di Garibaldi; in cui l’intiera popolazione spalatina, la notte avanti Lissa, asceso in folla il monte Mariano, tendeva gli orecchi e gli spiriti ai rombi lontani dall'iniziato bombardamento, nell'angoscia tormentosa dell’attesa, mentre in una insenatura remota della costa il vice podestà Giovannizio concordava con un emissario di Persano le modalità dello sbarco creduto imminente... Come in mezzo secolo quella provincia, che il Tommaseo aveva definita in una pagina famosa « italiana più di Trieste e di Torino», assumesse una siffatta maschera serbo-croata da non lasciare più riconoscere ufficialmente il suo nativo sembiante latino e veneziano, attraverso quali prove, quali persecuzioni, quali sofferenze e quali iniquità la terra generosa di Bajamonti si trasformasse nel dominio politico dei Bianchini e dei Trumbic, è stato ultimamente documentato in una diligentissima cronistoria dallo Smirich (I). Possiamo dire senza esagerazione che mun martirio di popolo eccedette nei tempi moderni quello che fu inflitto ai Dalmati. S’impose loro una sorta di morte spirituale con la soffocazione violenta del loro genio nazionale, con l’abolizione coattiva della loro lingua e della loro cultura, surrogate nell’insegnamento e negli uffici dall’improvvisazione glottologica e letteraria di un’accademia di intellettuali balcanici. (*) E. SMIRICH, Studio sulla italianità della Dalmazia in base a documenti ufficiali. Zara, Tipografia del Governo, 1920.