156 Il trattato di Rapallo. pesare con la loro attività civica sulla vita e sugli ordinamenti politici e amministrativi del paese in cui, comunque ritenuti stranieri, conservano tutti i loro interessi e tutte le loro relazioni di affari e di affetti. Danno per l’Italia, in quanto che questa si preclude la possibilità di potere esplicare, attraverso l’azione anche perfettamente legalitaria e lealistica dei figli suoi, una benefica influenza sulle sorti e sullo spirito della Dalmazia regalata ai Jugoslavi. Orbene, vi è qualche cosa di peggio: non soltanto questo diritto di opzione si risolve in una tentazione deprecabile e nociva offerta a quelli che oggi potrebbero illudersi, non so con quanta ragione, di sfuggire mediante la scelta della cittadinanza italiana alle persecuzioni e alle rappresaglie che già apertamente si minacciano contro le decine e decine di migliaia di Dalmati che durante i due anni dell’occupazione italiana hanno manifestato la loro fedeltà o la loro simpatia per la nostra bandiera; ma l’illusorio, insidioso privilegio ad essi concesso sembra escludere ipso jure le stesse facoltà per quegli altri italiani, che più giudiziosamente tale opzione non faranno. Mi riferisco alle ultime parole del 2° comma dell’articolo, ove si dice che gli Italiani i quali opteranno ecc., ecc. «... conserveranno il libero uso della propria lingua (capite che privilegio straordinario !) e il libero esercizio della propria religione ». Sono due concessioni, che già chiaramente documentano lo stato degli animi e della civiltà politica dell'altra parte contraente.