PREFAZIONE XIX penna completamente elaborato col sussidio di più approfondita dimostrazione teorica, egli segnava i lineamenti pratici, che in essa idealmente trovavano per l’educazione della mente la loro naturale giustificazione. Egli aveva considerato e considerava tuttora lo sbarramento e la diversione della Brenta dal Dolo, un errore ; queste dovevano logicamente essere effettuate a Stra all’ altezza dell’ antico alveo del Brenta. Ormai, però, dopo i tanti lavori compiuti, non era più il caso di ritornare ad un arretramento, che considerava utile e certamente più propizio, ma non indispensabile, e non aveva difficoltà di accettare, come accettava, con una collaborazione attiva, anche la base del Dolo, a patto però che lo sbarramento fosse totale, o quasi, e che la diversione per Conche e pel Torro dovesse condurre non ad uno sbocco in laguna, ma ad uno sfociamento diretto al mare per una propria bocca, raccogliendo in questa anche le acque del Bacchiglione. Le obbiezioni, che egli raccoglieva in nove proposizioni, confutate con quella sufficenza, che permetteva il vizio di un tracciato, certamente non scevro di inconvenienti, si soffermavano su motivi di dettaglio, almeno in gran parte, che o erano contrari ai principi teorici, che professava (sopratutto quello relativo all’ apertura di un nuovo porto), o superati e riassorbiti dall’ interesse più generale della salvezza del regime lagunare. Sta però il fatto che, vincolato dalla necessità di seguire il tracciato, dal quale non era più possibile dipartirsi senza incontrare una pregiudiziale opposizione, egli si sforzò di adattare a questo l’idea madre di un deflusso diretto in mare delle torbide inferiori per una bocca autonoma fra Brondolo e Fosson, in guisa da salvare la laguna di Chioggia, anche nel lato meridionale, e ridurre la città nell’ ambito dell’ acqua salsa, e salvare egualmente la laguna di Brondolo, fissando il limite estremo della terraferma sulla riva destra del nuovo percorso inferiore della Brenta e del Bacchiglione. Quantunque le idee del tempo fossero contrarie a questa concezione e per quanto i doveri di ufficio lo obbligassero a collaborare ad un’ opera, sulla quale portava diverso avviso (e da ciò hanno origine le contraddizioni, che talora si possono rilevare fra le scritture sintetiche, nelle quali francamente espone il suo pensiero, e le relazioni quotidiane, estese per rispondere ai quesiti proposti dal Magistrato), egli tuttavia si mantenne, nelle linee generali, aderente a questa concezione, che trovava tanti e tenaci oppositori. E nel 1546 depositava ufficialmente presso T ufficio, opportunamente riveduto, quel discorso, dettato nel ’43 per opportunità polemica, nel quale per la prima volta il problema lagunare era studiato siccome un tutto organico, e ribadiva ancora energicamente il suo pensiero in altra relazione del 19 ottobre dello stesso anno. Mentre i lavori deliberati nel ’40 erano ancora in via di attuazione, e, secondo il programma fissato in quell’anno, la discussione era sempre aperta, il Sabbadino non si rassegnava ad abbandonare il suo proposito, nonostante le ormai generali disapprovazioni, confortate da uno stato di fatto, che aveva un compimento decisivo col definitivo sbarramento della Brenta al Dolo nel 1547. Prima che avessero completa esecuzione i lavori della parte inferiore, il Sabbadino promosse ancora una volta nel 1549 in seno al Collegio delle Acque il disegno del