284 Il trattato di Rapallo. La grande massa della popolazione rurale, ossia 9/10 del totale della popolazione dalmatica, è costituita da contadini analfabeti viventi una vita primitiva in nuclei di una straordinaria rarefazione su un territorio assai vasto, coltivato senza alcuna modernità di criterii e di mezzi. Questa massa non ha il minimo concetto della nazionalità ; ma tutta la insistente azione di propaganda slavo-austriacante esercitata su di essa per tanto tempo dai preti e dai maestri della cessata Monarchia, non ha potuto toglierle l’atavica consuetudine di considerare la lingua italiana come quella degli scambi commerciali e di una superiore condizione di vita. In molte zone della Dalmazia occupata, i contadini hanno ormai dato segno di accettare molto volentieri l’Italia, la cui presenza qui è già per essi guarentigia di ordine e di legalità. Se non che più volte ci è stato fatto conoscere il sentimento di ansietà e di inquietudine che li tormenta circa l’avvenire. Resterà l'Italia? Se fossero sicuri che restasse, si manifesterebbero senza titubanze, favorevoli ad essa. Ma tale sicurezza non hanno, e paventano le vendette dei Serbi. Uguale sentimento tiene lontani anche numerosi elementi colti delle città, fino ad oggi militanti nel campo slavo, dall’espressione formale delle loro simpatie per l’Italia. Essi aspettano, tuttora diffidenti e timorosi. Ciò non pertanto qualcuno di essi, fra i più autorevoli, ha desiderato conferire con noi, aprendoci l’animo suo e dei suoi amici col dichiararci che, crollata l’Austria, i così detti Croati della Dalmazia si sottometterebbero cordialmente e lealmente alla sovranità dell’Italia pur di evitare di cadere nella soggezione del-l’odiato serbismo, nel quale essi esecrano sopratutto l’ortodossia fanatica distruttrice della fede cattolica che a noi, invece, li accomuna. Se si potesse dare, comunque, ai Dalmati l’impressione che l’Italia, venuta qui per il diritto della sua vittoria, non intende più andarsene dalla Dalmazia, questa sarebbe facilmente tutta per noi, salvo una esigua frazione di pseudo-intellettuali e di politicanti che fanno professione di jugoslavofilia godendo dei cospicui aiuti finanziari prodigati loro d’oltre la linea di armistizio. Certo è che, esaminata sui luoghi, nella valutazione concreta e positiva di tutti i suoi coefficienti, la questione dalmatica non sembra poter avere altra soluzione utile e realizzabile all’infuori dell’annessione. Mentre dalla semplice visione diretta delle zone, così poco note e studiate in Italia, risulta incontrovertibile l’importanza essenziale del possesso dell’Arcipelago dalmatico, dell’indispensabile base di Sebenico e della barriera dinarica per la sicurezza del territorio italiano, l’apprezzamento ponderato delle condizioni locali induce a ri-