218 Il trattato di Rapallo. Quando l'Italia entrò nella guerra, entrò sulla base di un accordo definito ma privato con l’Inghilterra e la Francia, ora conosciuto come patto di Londra. Da quel tempo l’intero aspetto delle circostanze è stato modificato. Molte altre potenze grandi e piccole sono entrate nella lotta, senza aver conoscenza di tale accordo. L’impero austro-ungarico allora nemico dell’Europa, e alle cui spese il patto di Londra doveva essere eseguito nell’evento della vittoria, si è disfatto e non esiste più. Non solo questo. Alcune parti di quest’impero — e questo è ora riconosciuto dall’Italia e dalle nazioni sue associate — devono essere erette a Stati indipendenti e associati in una Lega di nazioni, non con quelli che sono stati finora nostri nemici, ma con l’Italia stessa e con le potenze che sono state con l’Italia nella grande guerra per la libertà. Noi dobbiamo stabilire la loro libertà come la nostra. Essi devono essere fra gli Stati minori i cui interessi devono da ora in poi essere scrupolosamente salvaguardati come gli interessi dello Stato più potente. La guerra si è chiusa inoltre proponendo alla Germania un armistizio e una pace che dovevano essere fondati sopra certi principii chiaramente definiti, i quali dovevano creare un nuovo ordine di diritto e di giustizia. Su questi principii la pace con la Germania è stata non solo concepita ma anche formulata. Noi non possiamo domandare al grande consesso delle potenze di proporre e di effettuare una pace con l’Austria e di stabilire una base di indipendenza e di diritto negli Stati che costituivano originariamente l’impero austro-ungarico e negli Stati del gruppo balcanico sopra principii di altro genere. Noi dobbiamo applicare alla sistemazione dell’Europa in quelle zone gli stessi principii che noi abbiamo applicato nella pace con la Germania. È stato sopra una esplicita dichiarazione di questi principii che è stata presa l’iniziativa per la pace. È sopra di essi che deve riposare la intera struttura della pace. Se questi principii devono essere applicati. Fiume deve servire come sbocco commerciale non dell’Italia ma delle terre situate al Nord ed al Nord-est di questo porto: all’Ungheria, alla Boemia, alla Romenia e agli Stati del nuovo gruppo jugo-slavo. Assegnare Fiume all’Italia significherebbe creare la convinzione che noi abbiamo, deliberatamente, posto il porto, dal quale tutti questi paesi principalmente dipendono per il loro accesso al Medi-terraneo, nelle mani di una Potenza della quale esso non forma una parte integrante e la cui sovranità se fosse ivi riconosciuta, non potrebbe non sembrare straniera, nè identificata con la vita commerciale di quelle regioni alle quali detto porto dovrà servire. Ragione senza