Due anni di occupazione in Dalmazia. 127 tive da parte nostra per la ulteriore utilizzazione delle grandi forze idriche esistenti nella regione, e per mettere meglio in valore le ricchezze minerarie di questa, che ha notevoli giacimenti carboniferi e di litantrace. Data la nostra fame di combustibili naturali, sarebbe stato logico e sommamente opportuno approfittare del possesso della Dalmazia per cercare di sviluppare al massimo lo sfruttamento delle sue miniere di carbone. Invece non mi consta che il Governo di Roma se ne sia seriamente occupato. Eppure la produzione del Promina si avvicina già alle cinquecento tonnellate al giorno. C’erano da prendere provvedimenti atti a far rifiorire la pesca, che rimane e rimarrà per necessità di cose la principale industria del paese, ma che la guerra, naturalmente, ha paralizzata: e per farla rifiorire bisognava sopratutto organizzare il trasporto dei prodotti in Italia. Non credo che il Commissariato degli approvvigionamenti nè quello speciale per la pesca ci abbiano ancora pensato. Come non si è ancora pensato a ristabilire una linea diretta di navigazione, che pure esisteva avanti la guerra, fra Zara e Venezia. Ma l’omissione caratteristica e più grave è stata quella relativa alla valuta. Il mancato cambio della corona austriaca costituisce anzitutto un'ingiustificabile e assurda sperequazione commessa da noi a danno dei Dalmati in confronto dei Giuliani che pur si trovano nella loro identica posizione giuridica intemazionale di abitanti di un territorio non ancora annesso formalmente all'Italia ma occupato in forza del trattato di armistizio: e. quel che è peggio, ha portato e porta alla vita economica della Dalmazia un incalcolabile detrimento