IL TEATRO DI RINO ALESSI 255 personificare l’uomo assetato di Dio, per quanto nei suoi discorsi egli non cessasse di nominare il santo nome dell’ Ente Supremo. Meglio gli conveniva personificare il principio del male e del regresso, dell’odio, dell’ ipocrisia, dell’ invidia, della crudeltà. Se le espressioni di Dan-ton, che spesso ricordano quelle di Rabelais, non mancano di rudezza, s’egli non s’appellava a Dio per i propri fini, era pur sempre nella vera luce del progresso, dell’amore e della misericordia; nel suo cervello splendeva il raggio di Dio, di modo che sarebbe stato di gran lunga più degno di Robespierre di figurare, attraverso l’opera di un genio, come un Lucifero divino. Eroi simili a lui sono rari nella storia, nè con lui possono rivaleggiare i Gracchi o L’ideale re di Sparta, Agi. Cado Gracco avrà parlato con più raffinatezza, ma senza i lampi e le folgori di Giove, come usava Dan ton. Questo mi sembra costituisca il peccato originale del primo dramma storico dell’Alessi. Se nondimeno alla Sete di Dio arrise tanto successo, maggiore è il merito dell’autore, poiché è una vera fatica d’ Ercole voler rendere Robespierre simpatico a qualcuno. Lo stesso autore non è riuscito a infondergli quell’alito