IL TEATRO DI RINO ALESSI 145 serpe, il giudice Mènghin. Se, risuscitando, i martiri italiani e i martiri nostri, abbattuti dalla ferocia austriaca, potessero vederlo questo dramma, sarebbero felici e riconoscenti senza fine all’artista che li ha fatti rivivere in tutto il loro orgoglio e in tutto il loro eroismo. Scrive l’autore nella prefazione al Conte Aquila : « Il teatro storico non può essere che teatro di fantasia. La verità è più vicina all’animo del poeta che a quello del freddo indagatore, che si attarda sui documenti e, con la sua aggressività, raggela le fonti più calde. La storia, prima di essere sete di verità, è bisogno di poesia, d’ispirazione, conforto dei propri pensieri o atti, sussidio della propria volontà scagliata alla conquista del futuro, alimento della propria passione, controllo della propria fede ». Parole verissime, come è verissimo che nell’opera di un buon poeta ci può essere più storia che in quella dello storico sullo stesso soggetto. Entrambi ricostruiscono il passato per gettare le basi di un migliore avvenire; c’ è questa differenza, che l’autentico poeta vede più chiaramente dello storico nel passato e nel futuro, a meno che lo storico non sia, nello stesso tempo, un grande poèta come Tucidide e Tacito. La poesia è luce solare, che ravviva anche i morti e li trasporta nel presente perchè agiscano sull’av-