256 ANTE TRESIC PAVICIC di poesia che spira dal Savonarola o dal Conte Aquila. L’arido Robespierre non ha potuto infiammarlo, e dove mancano estro e calore, non vi può essere grande poesia. Siamo, qui, alle prese con un personaggio storico troppo noto alle persone colte perchè si possa accettare ch’egli personifichi un ideale di devozione. Il contrasto tra l’interpretazione poetica e la verità storica è qui troppo forte e guasta la buona disposizione del pubblico erudito. Per questa ragione direi che il lavoro, tratto da uno dei periodi più drammatici della storia umana, non può, dati il protagonista e i suoi collaboratori Saint-Just e Couthon, rappresentare la grandezza di quell’epoca, in lotta estrema per la libertà, per la civiltà, per l’eguaglianza, per la fratellanza e per il progresso. Sulla scena non vediamo Titani o Prometei volonterosi di rapire la luce al cielo per recarla alla terra, ma uomini mediocri crudeli, irrigiditi in un angusto formalismo, che vogliono forse il bene ma non sanno che cosa sia. Peccato che, per il suo tema, l’autore non abbia scelto qualche altro personaggio ricavandolo dalla storia, che ne esprime parecchi, o dalla propria fantasia. Egli ne ha la forza, e lo dimostra negli altri lavori. Ciò non vuol