PARTE TERZA 283 affabili, anzi familiari, senza che con ciò venisse lesa l’autorità dello Stato o ricevesse detrimento il decoro (*). Ricordò gli onori profusi al Widmann dai greci e la riputazione nutrita dai dalmati per il governo di Venezia. Scriveva il Tommaseo : « Più ci verremo scostando dal tempo, e meglio comprenderemo con l’occhio le bellezze e i mancamenti del vecchio edifizio, al quale portarono tributo quattordici secoli, l’Oriente e l’Occidente, il mare e la terra... ». Egli testimoniava come il governo veneziano fosse da uomini del popolo, che potevano rammentarlo, ancora ricordato con affetto e con lacrime. « Dico con lacrime. E questo nelle isole jonie, in Dalmazia, nel Veneto... trattasi di povera gente che non partecipava alla potestà nè a guadagni nè al privilegio delle prepotenze impunite ». Soggiungeva che « quel vivere privato e pubblico è buono, dove gli uomini sono contenti anco della poca agiatezza e della libertà poca, non quello dove le ragioni dell’essere contenti sovrabbondano, ma la contentezza manca »; osservava che si rispettava la stirpe greca « senza brighe, senza pedanterie, senza fiele »; notava il profondo rispetto esistente tra autorità e sudditi (2). (') Storia civile, ecc., cit., pg. 437. Fu scettico di fronte alla creazione della Repubblica democratica veneta. Intorno ad una Repubblica democratica, che avesse compreso Venezia, Dalmazia e Levante, egli scriveva : « Taluni sognavano una costituzione democratica... Ma Napoleone intendeva la libertà del pensiero come la libertà del commercio, e le uguaglianze da lui sofferte eran due: dinanzi la legge e dinanzi la miccia ». (2) Il Botta ricorda che quando cadde la Repubblica gli appartenenti alla famiglia dei Panduri, gente creduta barbara « davano tanti segni di dolore e di disperazione.'... che i capitani austriaci concedevano loro di poter continuare nell’uso antico di portarsi i veneziani vessilli», Storia d”Italia dal 1789 al 1814. Torino, 1852, pg 253 e segg.