PARTE SECONDA 205 sempre ad aprir banche, ad attivar fattorie... quando ogni prosperità di traffico dileguossi, niuna scissura di possedimenti e di beni ne venne, niuna emancipazione di popoli dalla loro metropoli, niun sacrificio perduto ». In realtà questo pensiero non è storicamente esatto o, tutt’al più, può valere per l’istituzione dei fondaci assegnati ai Comuni italiani. Se è vero infatti che di colonie in senso moderno (dove fattore predominante è la vasta estensione territoriale) non si può rigorosamente parlare, è altrettanto vero che di colonie e possedimenti in senso, vorrei dire, classico e medioevale si può e si deve parlare con tutta sicurezza. Probabilmente il Romagnosi voleva notare l’aspetto antiterritoriale del sistema coloniale svolto dalle città italiane, ma comunque egli non ha messo in sufficiente rilievo gli essenziali caratteri di questa antiterritorialità (‘). A riconoscere, almeno in parte, l’importanza della colonizzazione veneziana ed a chiarirne i metodi di governo con originali vedute fu lo storico Leo. Questo storico ricordava infatti che il « possesso di lontane provincie è sempre per una repubblica occasione all’istituzione di ordini aristocratici ». Per quanto egli abbia esagerato nel valutare le oppressioni di sudditi, commesse dai veneziani, tuttavia questo storico genialmente osservava : « In quella guisa che in tempi più recenti gli Inglesi hanno saputo trapiantare i fondamenti della loro vita politica e della loro costituzione per tutto ove essi hanno fondato qualche nuovo stabilimento, così i veneziani sul mare ed oltre mare, imposero la loro costituzione, e ciò a tal punto, che fu visto sovente I equipaggio della veneta flotta sottomesso a tali forme (') Romagnosi, Sul Vantaggio del dominio delle colonie, in Opere, Milano, 1845, voi. VI, parte 1, pag. 512.