96 PARTE PRIMA potenza e la libertà di uno Stato si misurano non all’interno, ma proprio all’estero. Ma Venezia, disse il Nievo, « per soverchia fedeltà all’orgoglio tradizionale latino » era avvezza a guardare con occhio romano le nazioni straniere che si facevano innovatrici ('). La struttura federalistica rivelò ineluttabilmente quella deficienza di unità politica e militare che sarebbe stata necessaria non dico per resistere, ma per animare una debole opposizione di fronte ai due colossi francese ed austriaco che dell’Italia settentrionale facevano una strada per le loro imprese militari. Non mancavano le energie del popolo, ma questo rappresentava una forza estranea alla costituzione non legata armonica-mente ad un tutto organico e formato. Il dramma della caduta di Venezia doveva precipitare sotto la folgore napoleonica, a cui avevano preparato i! terreno borghesi, filosofi, liberali ed ebrei. L’aristocratico veneziano, incerto se seguire i ferrei doveri della sua classe 0 i nuovi dettami che esigevano i tempi, si trovò di fronte ad un dilemma che annullò la forza e il prestigio di un ceto che fu nei secoli vanto e gloria della Repubblica. II popolo minuto e il ceto popolare delle provincie furono 1 soli ceti che sinceramente dimostrarono anche con le armi l’affetto più vivo per uno Stato italiano che dopo 14 secoli ancora difendeva la sua libertà originaria. Le Pasque veronesi ed altri eventi di guerra qua e là ripagarono a caro prezzo l’oltracotanza francese (2). Nel- (;) NlEVO, Venezia e la libertà d’Italia, Milano, 1859, pg. 10. (') Si diceva che a Verona i soldati veneti « uniti al popolo avevano fatta la frittata di tutti li Cispadani », BRATTI, La fine della Serenissima, Venezia, 1917, pg. 150. A Verona il popolo saccheggiava le proprietà dei francesi, di parecchi cittadini sospetti e il