PREFAZIONE IX Così chi volesse ricercare alcun che di nuovo nella dottrina delle maree, la cui analisi è uno degli aspetti più sostanziali delle altre deduzioni, si ingannerebbe. Dopo quanto si sa delle dottrine svolte fino all’ età del Rinascimento, in seguito agli studi del Günther, dell’Almagià, del Revelli (per citarne solo alcuni), è quasi superfluo ricercare nella costruzione sabbadiniana qualche orientamento nuovo. Anche nel trattato sul flusso e riflusso del mare (tutt’ ora inedito sul cod. mare, ital, IV, 51), piuttosto schematico, risorgono in gran parte le prospettive più o meno riccamente illustrate dal Dondi in poi. La bizzarra figura da lui costruita (e qui riprodotta, se pur è di sua invenzione) per spiegare le diverse fasi del movimento delle maree, erigendosi a mentore del suo contradditore, Alvise Cornalo, che preferiva chiudersi in una beata confessione di ignoranza, e dalle sue opere passata nelle successive compilazioni (come per esempio in quella ambrosiana R. 99, di Ettore Ausonio, offerta dal Revelli), non porta alcun contributo di novità, se non perchè è applicata almeno in parte all’ osservazione diretta sul comportamento nella laguna di Venezia. L’osservazione però è assai scarsa di risultati, e quando si inoltra nell’esame più vasto della correlazione con i movimenti delle correnti marine, egli non fa che riprodurre la comune opinione, senza conforto di studio maggiore, del movimento circolare del bacino medi-terraneo. L’ esposizione, da lui fatta nel dialogo dimostrativo, di cui ha fatto interlocutori due uomini del suo tempo e suoi subordinati nell’ ufficio delle acque, e nella confutazione polemica degli assiomi altrettanto empirici ed indimostrati dell’ opera di Alvise Cornaro, scritta nel ’49 per battere in breccia le teoriche sabbadiniane e le sue deduzioni pratiche, non spazia in orizzonti eccezionalmente nuovi, che anzi ripete principi e convinzioni di comune patrimonio. È più interessante scoprire come egli metta questo bagaglio di cognizioni a servizio della dimostrazione dei due fatti essenziali, sui quali riposa la sua tecnica della difesa del regime lagunare: 1°) non esser vero che il fondo marino sia soggetto a ritmica secolare elevazione, la quale importi come conseguenza l’elevazione del livello ordinario e straordinario delle maree; 2°) non esser vero che l’interramento lagunare provenisse dal movimento delle maree e dal deposito delle sabbie marine sul suo fondo. Una più corretta interpretazione dei rilievi sulla struttura del sottosuolo, secondo gli scavi eseguiti da padre Arcangelo degli Eremitani, rafforzava in lui l’ipotesi, che il constatato mutamento di livello della superficie acquea rispetto alla terra non fosse determinato da sollevamento del fondo lagunare, ma dall’ abbassamento della zona di abitazione. Ed in ogni modo l’aumento di livello delle acque non poteva commisurarsi nella misura di 5 piedi ogni cento anni, secondo si diceva, e per effetto dei depositi sabbiosi dell’ acqua marina, ma per opera delle torbide defluenti dai fiumi in laguna. Se l’acqua salsa poteva contribuire a questa azione, ciò poteva derivare dal fatto