574 la vita, la nuova vita d’Italia. Palermo e Venezia ! Le bombe del Borbone e gli aguzzini di Mettermeli venivano ne’giorni stessi a consacrare con la loro impotenza il diritto degl’insorti, a rianimarne le sacre speranze, a rassodarne i propositi. Ruggero Settimo era acclamato in Palermo padre della patria. A Venezia , Daniele Manin era trascinalo dagli sgherri dell’Austria in una segreta di fronte al palazzo dei dogi, perchè avea osato sognare una patria. Un terribile anno e fecondo corse da quei dì sull’Italia! Noi abbiamo veduto la città iniziatrice del movimento Europeo, la prima dissolvi-trice dei diritti per la grazia di Dio, abbiamo veduta Palermo offerirsi, come vedova che non ha amato pur anco, ad un nuovo signore. Allora noi ricordammo il gennaio, e di Palermo ci siamo accalorali e abbiamo temuto per lei; allora le abbiamo detto: tu non puoi spendere di tal modo il sangue de’tuoi figli i quali caddero per la tua libertà! Ma Palermo non si donava. Ella si rassegnava ad un sagrilizio, sperandone salute per l’Italia sua. Noi abbiamo veduto Venezia, dopo tre mesi di libertà consumati in ambagi, offerirsi ad un principe, e abbiamo temuto per lei e le abbiamo detto; tu non li sci fatta alla prova, tu dimentichi il marzo, c intorbidi quell’avvenire che pure intravedesti sperando. Ma Venezia non si vendeva. Ella si rassegnava ad un sagrifizio dal quale promettevasi a lei la salute d’Italia. Palermo meditò e si riebbe — e lasciò di questuare un sovrano. Venezia sofferse, previde, e si riebbe: da breve sonno affannoso ella riaperse gli occhi, c li affisò nel futuro. Verso questo futuro, Venezia, come Palermo, cammina sola oggidì; cammina incerta, pure sperando, pur combattendo, più per sè, che per l’Italia. Quale consiglio offriremo noi a Venezia che, salvata l’indipendenza sua, sta per costituir le forme della sua libertà?... Quale consiglio offriremo a Palermo che, risoluta a vivere senza il Borbone, riescendo vincitrice nella generosa sua lotta, chiedesse un governo assentito da Italia tutta?... Nel mentre Italia guardava, commossa c sperante, a Palermo, a Venezia, un altro suo "Stato risorse a libera vita, quasi nelle stesse condizioni di quei due, ponendosi in mezzo ad essi, ospite atteso e festeggialo. La Romagna ella p#re ha spezzati gli antichissimi lacci, c un impelo di santa indignazione demolì un principato fattosi indegno dell’altezza dei tempi, dei dolori di questa patria comune. Abbiamo oggi tre illustri città d’Italia, le due estreme ed il suo centro, Palermo, Roma e Venezia, le quali, abbattuto un principio, stanno indecise attendendo quale nuovo principio dovrà emergere dai turbine degli eventi a costituire il governo della patria rifattasi indipendente. Tre Stali d’Italia senza governo definito, procedono con le armi al braccio, stretti da un desiderio comune, combattuti da una incertezza comune, verso gli avvenimenti che stanno per maturarsi in Italia, pronti ad affrontarli, se avversi, con solidarietà di fratelli. Dal restante d’Italia potremmo noi ritrarre per essi comparazioni