LE FORTIFICAZIONI DI RETIMO 473 lassati andare in mina „ , e da lui fatti riedificare a spese di quelle stesse persone che si erano servite ad uso privato delle pietre del rovinato recinto (1>. Con tutto ciò non crediamo che il borgo di Retimo fosse allora difeso da una regolare cinta muraria, mentre la sua fortificazione vera e propria data soltanto dalla venuta in Creta del Sammicheli, venuta alla quale si riannoda il risveglio edilizio delle opere militari dell’ isola intera. Il 19 dicembre 1538 infatti, come già si vide, il Senato, rispondendo a lettere del provveditor generale di Candia Giovanni Moro, accennava di aver ricevuto altresì “ li dessegni della Cavila, Suda et Rethimo, et insieme la depo-sitione molto copiosa del fidelissimo inzegner nostro mastro Micliiel da Sammi-chele „ , e di aver mostrato il tutto a Francesco Maria di Urbino ; per cui comandava che alle istruzioni del duca medesimo dovesse il Moro attenersi, pur attendendo ad occuparsi di Retimo dopo aver già ben avviate le fabbriche di Candia e della Canea(2). Il parere di Francesco Avaria della Rovere suonava testualmente così : “ Redimo dico non sapere di quale importanlia sia ; ma giudicandosi d’importanza, e volendosi fortificare, pare a me che starà bene facendosi di quel modo che mostra il dissegno, et osservando mastro Michele quello che io ho detto di sopra. Per ciò che, volendolo restringere, sarìa poco il guadagno circa l’opera e molta la perdita circa il resto ,,(3). Intanto i cittadini di Retimo, impazienti di veder anche la città loro difesa da ben più valido propugnacolo che non fossero le preesistenti fortificazioni, vollero da se stessi iniziare le nuove opere, e, avendo in un consiglio del 16 marzo 1538 deliberato di concorrere con 7500 ducati alla nuova fabbrica, diedero principio senz’altro alla fortificazione, “ iuxta el dessegno fatto per mastro Michiel de San Michiel inzegner Più tardi poi, recatisi a Venezia, imploravano dallo stato che esso pure partecipasse in egual misura alla spesa, e che nella imposta sui cittadini potesse venir incluso anche il clero cogli Ebrei. — Al che il Senato rispondeva, accondiscendendo bensì alla preghiera, ma stabilendo che la propria contribuzione fosse distribuita in ragione di 10 ducati all’anno per cinque anni, e di cinque soltanto per le annate successive. Concedeva inoltre che clero ed Ebrei fossero tenuti a pagare la loro quota della tassa. — esonerandoli invece da eventuali (*) M. Sanuto : I dia rii cit., voi. XXV, pag. 442 seg. (3) E. Viani : I Discorsi cit., pag. 36. (s) V. A. S. : Senato Secreti, LIX, 83*.