VENEZIA E I TURCHI 3«7 Quando l’armata, avente a capo Don Giovanni d’Austria, abbandonò le acque di Messina, il naviglio turco aveva già portato la desolazione nell’ionio e nel basso Adriatico con ripetuti tentativi su Cattaro e su Valona. Gli Ottomani avevano già da qualche anno compreso, e n’erano rimasti più che convinti dopo la Prévesa, che per paralizzare le forze di Venezia bisognava trasferire l’azione navale nell’Adriatico. Ma in tal modo raggiungevano un secondo scopo, quello cioè d’atterrire maggiormente la Cristianità, in quanto che un’impresa su quel bacino, la cui via d’uscita avrebbe potuto essere preclusa, era una vera sfida e mostrava a che segno era giunta l’audacia, anzi la temerità musulmana. D’altra parte la Spagna, signora del Mezzogiorno d’Italia, era obbligata a fare causa comune con Venezia e con tutta la Penisola, della quale, dopo tante vittorie, aveva assunto la tutela politica. In ciò, io credo, sta la ragione che mise nuovamente d’accordo, sia pure un istante, Venezia e la Spagna. Ma allorché l’armata turca fu sconfitta e si comprese che per tale disfatta veniva a mancare alla pirateria ogni più valido sostegno; quando parve chiaro che le sorti di Venezia -si sarebbero potute notevolmente rialzare, la gelosia spagnuola prevalse su ogni altra considerazione e la lega cristiana, dopo Lepanto, si venne sciogliendo. Così la Repubblica fu costretta alla pace del 1573, in cui non soltanto dovette ri-