97 ne, si sopprimesse quel potere eccezionale che ormai si si era fatto despota della Repubblica. Ma diversamente la pensavano i migliori e che vedevano negl’ Inquisitori il Palladio della comune libertà e della sicurezza dello Stato, e tra essi Marco Foscarini allora procuratore, poi doge, personaggio cui nessuno certamente accuserà di animo perverso o di mente ristretta. Fu incaricata una giunta di cinque di esaminare tutte le scritture degl’ Inquisitori ; asseriva francamente il Franceschi loro segretario : « aver versato lungamente negli archi vii del lóro Tribunale per occasione dell’ officio concessogli, aver veduto esservi in quelli, leggi, metodi e difese ; che 1’ arbitrio di quei giudici non avea luogo se non tra il caso e la legge, come avviene in tutti i giudizii civili e criminali, mentre tra il caso e la legge interviene sempre 1 arbitrio del giudice che a norma delle circostanze regola la sua sentenza ». Animatissima era la difesa assunta dal Foscarini: « non credere, ei diceva, che alcun cittadino versato nelle leggi della sua patria possa nemmeno sospettare che quel Tribunale pioceda ad arbitrio sulle semplici delazioni, senza esame e difesa ; non potersi dare tribunale siffatto neppure tra i popoli barbari, molto meno in Venezia sede antichissima di civiltà, ove e rispettata la vita e la libertà di ciascun individuo ; che anzi e regolari erano gli esami ed ammesse le difese, e non si puniva se non quando più non rimaneva all imputato alcuna giustificazione. Non essere mai stato per 1 addietro il Tribunale degl’ Inquisitori sottoposto a censura e a lui esser dovuta più volte la salvezza dello Stato ; cessare ogni timore dell’abuso di potere quando si consideri che l’autorità de’ giudici in esso collocati non poteva oltrepassare il periodo di un anno e che ciascun giudice poteva essere rimosso con somma facilità in cia-Vol. VI. 1B