dovevano uscire al largo per richiamare al dovere le pecorelle recalcitranti. Pecorelle, per modo di dire, perchè armate di buone artiglierie di cui si servivano spesso - specialmente se inglesi od americani - per accogliere a cannonate i disgraziati messaggeri, scambiandoli per il temuto sommergibile. Veramente, con un po’ d’attenzione, i bravi comandanti dei piroscafi avrebbero potuto riconoscere la differenza fra un motoscafo ed un sottomarino. - Ma le precauzioni non sono mai troppe. Così ragionavano probabilmente quei buoni Comandantin. Il tedesco è astuto e traditore. Chi ci assicura che non abbia creato un nuovo tipo di sommergibile, e che la bandiera italiana che vediamo sventolare non rappresenti un tranello del nemico? Era dunque un nuovo rischio aggiunto agli altri, ed i M. A. S. vi si erano rassegnati ed avevano finito per non preoccuparsene troppo, perchè i tiri di quella brava gente non erano molto precisi ed i proiettili avevano finora avuto il buon senso di cadere in acqua a maggiore o minor distanza del bersaglio. Ma pur troppo, i tiri, una volta, ebbero maggior precisione e la commedia si mutò in dramma e quasi in tragedia. Era il 7 ottobre del 1916. Verso mezzogiorno, un M. A. S. della mia squadriglia, di vedetta all’isola Gallina«, fu avvisato che alcuni piroscafi americani, diretti a Genova, erano al traverso di Capo Mele. Compito del M. A. S. era di compiere una perlustrazione durante il passaggio delle navi. Il comandante del M. A. S., un bravo volontario, che avevo conosciuto a Grado dove aveva passato molto tempo in una batteria, uscì, malgrado il mare agitato, per compiere la perlustrazione. Giunto a circa 800 metri dai piroscafi, questi, non tenendo conto dei segnali della nave italiana che li scortava, aprirono il fuoco contro il motoscafo. Trenta colpi di cannone furono sparati ed uno colpì il M. A. S. nella prua, attraversandola da parte a parte a 10 centimetri sopra i serbatoi di benzina. In mezzo al grandinare dei 53