noscevo anche adesso ai motonauti, fingendo di non sentire quando qualcuno di loro parlava con ammirazione esagerata ad arte della vita più riposata che si faceva in altre squadriglie. Una volta, però, seccato di queste palinodie, interruppi il brontolone dicendogli bruscamente : n Quando sarà finita la guerra, il miglior ricordo suo non sarà quello degli ozi goduti in altra squadriglia, ma delle fatiche sopportate in questa ". Certamente, le fatiche non erano poche, nella zona affidata alla nostra sorveglianza, continuamente percorsa da un traffico intenso e quindi insidiata continuamente da sommergibili. Fatiche oscure, non compensate dalle emozioni di un combattimento, perchè, a farlo apposta, i sommergibili che pure si facevano vivi - e come ! -dove i M. A. S. non erano presenti, non si lasciavano quasi mai vedere da noi. Questo risultato - diciamolo così - negativo, fece nascere finalmente il pensiero di affidare ai M. A. S. quelle scorte di convogli — che prima ci erano state rigorosamente proibite. E l’esito giustificò il concetto che i M. A. S., arma potente di offesa in Adriatico, fossero mezzi utilissimi di difesa in Mediterraneo. Ciò accadeva verso la fine del 1917. Da quell’epoca, sino alla fine della guerra, i M. A. S., di giorno, di notte, con buono o cattivo tempo, facesse freddo o bruciasse il sole, uscivano e facevano la spola tra Villafranca e Savona, spingendosi frequentemente fino a Genova. Migliaia di piroscafi da carico o da passeggeri - mastodonti del mare e modesti cargohoals - veloci o lenti come tartarughe, -dipinti nei modi più strani, - che portavano all’Italia carbone, viveri, armi, merci di ogni genere, - i mezzi cioè per resistere e vincere -tutti, hanno visto e dovrebbero ricordare - i piccoli navicelli, appena visibili, in mezzo alle onde, ed alla spuma sollevata nella rapida corsa - guizzanti in rotte a zig-zag, ora lontani, ora vicini ai convogli, ma sempre pronti all’attacco - cogli uomini in 55