Siamo alla fine d’Aprile del 1916, e tra il fogliame già fitto, che nasconde al nemico le nostre batterie che hanno varcato il fiume, trasportandosi sulla sponda sinistra, cantano gli usignuoli. Ma la mattinata è fosca; la nebbia greve, dal fiume, dalle paludi, si estende, si alza, invade il bosco, circonda di un velo fitto, tetro, ogni cosa, alterando i contorni, le proporzioni degli oggetti. Ad un tratto, squilla il campanello di un telefono. Nella nebbia, con una sonorità strana, risuonano e si ripetono voci di comando vibrate, concise. Poi, un gran rimbombo, al quale succedono altri. In tutto il bosco, vicini e lontani, si ripetono i colpi. In alto, sopra le nostre teste, cominciano a passare, con rumori diversi - fragore di treni correnti, sibili acuti, suoni quasi musicali -i proiettili nemici. Qualcuno cade nel fiume e si sente il tonfo sordo ed il fruscio della colonna d’acqua ; di altri si sente lo scoppio - a volte sordo, a volte stridente, lacerante - vicinissimo. È cominciata l’azione su tutta la linea. Sono rimasto solo, col dottore. Ero salito all’osservatorio, ma ne son disceso quasi subito, perchè non si distingue quasi nulla ed il comandante è troppo affaccendato per chiedergli informazioni. Ho assistito a qualche tiro dei pezzi ; ma ho finito di aver vergogna di assistere, come un curioso inutile, al lavoro di quegli uomini che con calma, eseguiscono rapidamente i gesti quasi ritmici per caricare, puntare e sparare, e mandano ed aspettano tranquillamente la morte, senza batter ciglio, compiendo in silenzio il loro dovere. Ho fatto una visita alla cucina, dove, imperturbabile, il cuoco, un ligure, di Rapallo, - continua le sue funzioni, grave e raccolto, come se compiesse un rito. Gli domando che cosa ci prepara. - Ravioli - risponde laconicamente. — Quando li mangeremo?, chiedo, ridendo. Il dottore guarda in alto, ascolta gli spari che vanno aumentando su tutta la linea. 16