d’artificio. Tutte le batterie tuonavano creando una cortina di fuoco che spesso disorientava e non di rado abbatteva qualche apparecchio nemico. Era una tempesta di colpi, di sibili, una pioggia di frammenti di proiettili che rendeva difficile e pericoloso l’attraversare le vie e le piazze. Ad incursione finita, si correva a constatare i danni, a spegnere gli incendi, a riparare i fili telefonici e telegrafici. A poco a poco, le torpediniere, i motoscafi rientravano in porto, gli ufficiali addetti ai vari servizi davano gli ultimi ordini e si recavano al Comando per il rapporto. I lumi spenti, durante l’incursione, si riaccendevano; gli abitanti ritornavano alle loro case e, gradata-mente, tutto rientrava in quiete.... fino ad un nuovo allarme. Perchè non era infrequente il caso di un ritorno offensivo che nelle notti di plenilunio si ripeteva, talora due ed anche tre volte. Nei primi tempi in cui ero a Grado, la scarsità dei nostri apparecchi, ed il non completo assetto delle batterie antiaeree, rendevano più audace il nemico che osava comparire anche di giorno, e, scendendo, talora, a bassa quota, attaccava colla mitragliatrice e colle bombe, torpediniere e motoscafi. Questi ultimi, allora, non avevano cannoni antiaerei, degni di questo nome, cosicché, il più delle volte, si rispondeva con fucilate alla pioggia di pallottole che, come chicchi di grandine, ci crepitavano intorno. Non c’ era - si capisce - molta precisione di tiro da una parte, come dall’ altra, ma, naturalmente, quando i marinai tornavano da quelli scontri, ancora eccitati dall’odor della polvere e dal frastuono dei colpi, non sarebbe stato bene accolto chi avesse sostenuto che il nemico se n’era andato tranquillamente, perchè aveva esaurito le munizioni, e non era stato invece rivolto in fuga, crivellato dai tiri bene assestati dei nostri marinai. Bravi ragazzi questi marinai, obbedienti e calmi, durante l’azione, ma che avevano il difetto di spararle un po’ grosse, sopratutto quando si trovavano con qualche compagno, sbarcato di fresco a 20