care il volo e si arruolò tra gli aviatori ; e me ne diede la notizia con una cartolina scritta, in volo, a 2000 metri d’altezza. Rotto il ghiaccio col Procaccini, non vi fu batteria che non volesse il suo volontario. E, così, ve ne furono sui pontoni armati dell’ Isonzo, nelle batterie di Punta Sdobba, e in quelle di Mon-falcone, e le accoglienze che comandanti ed ufficiali mi facevano dappertutto, erano dovute, senza dubbio, in gran parte, alle simpatie ispirate dal contegno di quei volontari che avevano suscitato tante diffidenze nei primi tempi. Simpatie meritate, e che contribuirono ad allontanare dal corpo dei motonauti la sorte che nel Dicembre del 1915 toccò a tutti gli altri corpi di volontari. Ho conservato molti e cari ricordi di queste mie visite alle batterie, alcune delle quali posso dire di aver visto sorgere tra il fango delle barene, o nei boschi dell’isola Morosini, spesso allagati dalle piene dell’ Isonzo ; e dove il genio industre dei nostri marinai aveva creato cabine comodissime, halls, verande, nelle quali tra un colpo di cannone, e un altro, si prendeva il thè; - e intorno a queste abitazioni, e perfino accanto ai pezzi, aveva fatto sorgere orti e giardini. Ma, fra tutti i ricordi di queste visite, due date mi sono rimaste più singolarmente impresse nella memoria. & La prima mi ricorda la messa di Natale del 1915, celebrata dal cappellano di Marina, Don Antonio Giordani, nella batteria che prendeva il nome del suo simpatico e valoroso comandante - allora tenente di vascello - conte Buraggi. In una radura nascosta nella fitta boscaglia, stanno raccolti un centinaio di uomini. Alcune candele infitte in originali candelabri di legno gettano sprazzi di luce sulle faccie abbronzate dei marinai e sull’ altare coperto dalla bandiera tricolore. Di tanto in tanto, qualche marinaio, o qualche ufficiale entrando 14